domenica 25 dicembre 2011

I migliori dischi del 2011

Roba che concilia. 1) James Blake – James Blake 2) Ghostpoet – Peanut Butter Blues and Melhancony 3) Modeselektor – Monkeytown 4) 13 & God – Own your ghost 5) TVOR – Nine Types of Light 6) Sbtrtkt – sbtrtkt 7) Shabazz Palaces – Black-Up 8) Robot Koch – The other side 9) Burial – Street Halo 10) Emika – Emika 11) Dels – Gob 12) Robot Koch & John Robinson – Robot Robinson 13) The Black Keys – El Camino 14) Alias – fever dream 15) Gill Scott Heron & XXL – we are new here

domenica 13 novembre 2011

Bye Bye

Ok sarà tutto parte di un piano che noi omuncoli non vediamo, ok sarò stato via dall'Italia nel momento più importante, ok non ho voglia di parlare di B perchè non merita più di essere nemmeno nominato. E allora facciamo parlare una foto scattata a Berlino sta mattina. Son soddisfazioni. Ieri i fuochi d'artificio e le caricature irridenti in metropolitana, oggi questo flyer sul desk all'entrata. Che bel.

domenica 23 ottobre 2011

Falling Trees - Mixtape autunnale

Autunno, sensazioni multicolori, cambiamenti fisici e mentali. Tempo multisfaccettato. Ho compresso tutto questo in un mixtape confezionato con tracce uscite a ridosso o in questo periodo. Robot Koch, Modeselektor, Paul White, Exile, Example, Kasabian, Antipop Consortium, Rustie, Shabazz Palaces, Kanye West, Jay-Z. Buon ascolto autunnale. Luke Ascolta e scarica su soundcloud.

giovedì 20 ottobre 2011

lunedì 17 ottobre 2011

Black block o black posts?

E' davvero incredibile. Accade sempre ed ogni singola volta riesco a stupirmi di quanto l'informazione sia traviata, strumentalizzata. Migliaia di proteste in tutto il mondo contro il capitalismo ad ogni costo, contro il sistema finanziario, contro l'economia virtuale. E i telegiornali cosa fanno? Non passano neanche un nano-secondo ad analizzare le ragioni delle migliaia di manifestanti pacifici (che sono stati il 90%), bensì passano ore ed ore di dirette e servizi speciali a raccontare ogni piccolo dettaglio della guerriglia urbana messa in campo da pochi, dai soliti facinorosi, dai provocatori, per altro prevedibilmente fomentati da gruppi di infiltrati volti a far volgere al peggio le proteste al fine di strumentalizzate pro-governo le rivolte. Non so nemmeno se è più scandaloso scandalizzarsi ancora di questa procedura o se lo è non farlo. Il reale diventa finzione e la finzione viene passata come reale. E' davvero pazzesco. Lasciate perdere i black block, ma perchè la gente protesta in ogni parte del mondo senza venire ascoltata? Vogliamo parlare di questo invece dei coglioni con i sassi e con le pietre che contribuiscono a svilire tutto, a fare il gioco dei potenti? Che poi li chiamano indignados, potrebbero a questo punto chiamarli desaparesidos, perchè affibiandogli un nome così volgare ed "esotico", non si sono nenanche affacciati sulla scena che saranno già scomparsi, desapared. Affibiare un nome per negarlo. Questo è ciò che sappiamo fare meglio, indicare con tutte le nostre forze per cancellare, caricare per svuotare. Forzare e ribaltare il significato. Chi scrive, chi affibia nomi, chi parla con leggerezza "degli indignati" dovrebbe chiedersi chi sono gli indignati: siamo tutti, tranne i (pre)potenti. Compresi quelli che scrivono. Indignatevi anche voi, magari datevi un altro nome.

martedì 4 ottobre 2011

Ok è ora di incazzarsi

Siamo arrivati a questo. Grazie alle leggi ad personam e alla più recente di esse, il DDL sulle intercettazioni. Questo il messaggio di wikipedia, fino ad ora terra libera da censure:

Cara lettrice, caro lettore,

in queste ore Wikipedia in lingua italiana rischia di non poter più continuare a fornire quel servizio che nel corso degli anni ti è stato utile e che adesso, come al solito, stavi cercando. La pagina che volevi leggere esiste ed è solo nascosta, ma c'è il rischio che fra poco si sia costretti a cancellarla davvero.

Il Disegno di legge - Norme in materia di intercettazioni telefoniche etc., p. 24, alla lettera a) recita:

«Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono.»

Negli ultimi 10 anni, Wikipedia è entrata a far parte delle abitudini di milioni di utenti della Rete in cerca di un sapere neutrale, gratuito e soprattutto libero. Una nuova e immensa enciclopedia multilingue, che può essere consultata in qualunque momento senza spendere nulla.

Oggi, purtroppo, i pilastri di questo progetto — neutralità, libertà e verificabilità dei suoi contenuti — rischiano di essere fortemente compromessi dal comma 29 del cosiddetto DDL intercettazioni.

Tale proposta di riforma legislativa, che il Parlamento italiano sta discutendo in questi giorni, prevede, tra le altre cose, anche l'obbligo per tutti i siti web di pubblicare, entro 48 ore dalla richiesta e senza alcun commento, una rettifica su qualsiasi contenuto che il richiedente giudichi lesivo della propria immagine.

Purtroppo, la valutazione della "lesività" di detti contenuti non viene rimessa a un Giudice terzo e imparziale, ma unicamente all'opinione del soggetto che si presume danneggiato.

Quindi, in base al comma 29, chiunque si sentirà offeso da un contenuto presente su un blog, su una testata giornalistica on-line e, molto probabilmente, anche qui su Wikipedia, potrà arrogarsi il diritto — indipendentemente dalla veridicità delle informazioni ritenute offensive — di chiederne non solo la rimozione, ma anche la sostituzione con una sua "rettifica", volta a contraddire e smentire detti contenuti, anche a dispetto delle fonti presenti.

In questi anni, gli utenti di Wikipedia (ricordiamo ancora una volta che Wikipedia non ha una redazione) sono sempre stati disponibili a discutere e nel caso a correggere, ove verificato in base a fonti terze, ogni contenuto ritenuto lesivo del buon nome di chicchessia; tutto ciò senza che venissero mai meno le prerogative di neutralità e indipendenza del Progetto. Nei rarissimi casi in cui non è stato possibile trovare una soluzione, l'intera pagina è stata rimossa.

Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo Articolo 27

«Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici.

Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore.»

L'obbligo di pubblicare fra i nostri contenuti le smentite previste dal comma 29, senza poter addirittura entrare nel merito delle stesse e a prescindere da qualsiasi verifica, costituisce per Wikipedia una inaccettabile limitazione della propria libertà e indipendenza: tale limitazione snatura i principi alla base dell'Enciclopedia libera e ne paralizza la modalità orizzontale di accesso e contributo, ponendo di fatto fine alla sua esistenza come l'abbiamo conosciuta fino a oggi.

Sia ben chiaro: nessuno di noi vuole mettere in discussione le tutele poste a salvaguardia della reputazione, dell'onore e dell'immagine di ognuno. Si ricorda, tuttavia, che ogni cittadino italiano è già tutelato in tal senso dall'articolo 595 del codice penale, che punisce il reato di diffamazione.

Con questo comunicato, vogliamo mettere in guardia i lettori dai rischi che discendono dal lasciare all'arbitrio dei singoli la tutela della propria immagine e del proprio decoro invadendo la sfera di legittimi interessi altrui. In tali condizioni, gli utenti della Rete sarebbero indotti a smettere di occuparsi di determinati argomenti o personaggi, anche solo per "non avere problemi".

Vogliamo poter continuare a mantenere un'enciclopedia libera e aperta a tutti. La nostra voce è anche la tua voce: Wikipedia è già neutrale, perché neutralizzarla?

Gli utenti di Wikipedia

lunedì 26 settembre 2011

Amazon sfrutta i propri dipendenti. E lo si scopre ora?

Riprendo da "Giap", autorevole newsletter curata dal collettivo di scrittori Wu-Ming:

La settimana scorsa The Morning Call, un quotidiano della Pennsylvania, ha pubblicato una lunga e dettagliata inchiesta – intitolata Inside Amazon’s Warehouse – sulle terribili condizioni di lavoro nei magazzini Amazon della Lehigh Valley. Il reportage, risultato di mesi di interviste e verifiche, sta facendo il giro del mondo ed è stato ripreso dal New York Times e altri media mainstream.

Il quadro è cupo:
- estrema precarietà del lavoro, clima di perenne ricatto e assenza di diritti;
- ritmi inumani, con velocità raddoppiate da un giorno all’altro (da 250 a 500 “colli” al giorno, senza preavviso), con una temperatura interna che supera i 40° e in almeno un’occasione ha toccato i 45°;
- provvedimenti disciplinari ai danni di chi rallenta il ritmo o, semplicemente, sviene (in un rapporto del 2 giugno scorso si parla di 15 lavoratori svenuti per il caldo);
- licenziamenti “esemplari” su due piedi con il reprobo scortato fuori sotto gli occhi dei colleghi.
E ce n’è ancora. Leggetela tutta, l’inchiesta. Ne vale la pena. La frase-chiave la dice un ex-magazziniere: “They’re killing people mentally and phisically.

A giudicare dai commenti in rete, molti cadono dalle nuvole, scoprendo soltanto ora che Amazon è una mega-corporation e Jeff Bezos un padrone che – com’è consueto tra i padroni – vuole realizzare profitti a scapito di ogni altra considerazione su dignità, equità e sicurezza.
Come dovevasi sospettare, il “miracolo”-Amazon (super-sconti, spedizioni velocissime, “coda lunga”, offerta apparentemente infinita) si regge sullo sfruttamento di forza-lavoro in condizioni vessatorie, pericolose, umilianti. Proprio come il “miracolo”-Walmart, il “miracolo”-Marchionne e qualunque altro miracolo aziendale ci abbiano propinato i media nel corso degli anni.
Quanto appena scritto dovrebbe essere ovvio, eppure non lo è. Il disvelamento non riguarda un’azienda qualsiasi, ma Amazon, sorta di “gigante buono” di cui – anche in Italia – si è sempre parlato in modo acritico, quando non adorante e populista.
The Morning Call ha rotto un incantesimo. Fino a qualche giorno fa, con poche eccezioni, i mezzi di informazione (e i consumatori stessi) accettavano la propaganda di Amazon senza l’ombra di un dubbio, come fosse oro colato. D’ora in poi, forse si cercheranno più spesso i riscontri, si faranno le dovute verifiche, si andranno a vedere eventuali bluff. Con il peggiorare della crisi, sembra aumentare il numero degli scettici.

Aggiungo solo di mio pugno che in effetti fa tristezza vedere come dietro presunti miracoli economici, aziendali ecc, si nasconda sempre lo sfruttamento dei più deboli. D'altra parte, avendo capito le basi del capitalismo, la cosa non dovrebbe stupire affatto. Così come paesi sviluppati prosperano e a farne le spese sono quelli sottosviluppati che per definizione "nutrono" quelli sviluppato, producendo o rinunciando a determinate ricchezze (sociali ed economiche), le multinazionali prosperano basando le proprie economie di costo, di time to market ecc. sfruttando i propri lavoratori più deboli.

Non è una novità purtroppo. La novità sta nel riuscire a scoprire ogni tanto qualche nuovo "illustre" colpevole...



domenica 25 settembre 2011

Stai colmo!

"Stai colmo! Questo mi sono detto nel fare voto di vastità, scavando il fosse, usando il confine tra sogno e bisogno (l'incubo è confonderli!). Così tra tellurico ed onirico, in uno spazio agli antipodi, in un limbo dell'imparadiso ho avuto un sentore: URGE." Reagire. Dall'ultimo spettacolo di Alessandro Bergonzoni "URGE". Nuova linfa.

sabato 10 settembre 2011

lost in situation

Ultimamente condivido sempre meno. La parola stessa "condivisione" è talmente abusata che ha perso di significato, si è svuotata, ribaltata. Tanto che la vera condivisione non riesco più a comprenderla, ad interpretarla. Mettere in rete i propri pensieri, cercare di afferarne il senso mentre li scrivi, cercare di decifrarli. Condividere per capirsi? Forse si, in ultima istanza è questo che tutti facciamo. Ma la cosa sta perdendo il suo fascino. Ha perso il suo fascino anche capirsi. E di me stesso capisco sempre meno.

sabato 25 giugno 2011

Jonathan Lethem - Io e Philip K. Dick

E’ uscito da qualche mese un diario/racconto sui generis di uno dei più grandi autori americani contemporanei: Jonathan Lethem. Quel Jonathan Lethem di alcuni romanzi-capolavoro come “La fortezza della solitudine“, “Amnesia Moon”, “Brooklyn senza madre”, in cui cultura alta e cultura “bassa”, di strada, si intrecciano in modi del tutto nuovi, come solo uno scrittore di grande competenza stilistica e capacità narrative che sia al contempo un divoratore di romanzi pulp e fumetti underground può riuscire a fare. Lethem possiede alcune delle caratteristiche che personalmente più apprezzo in uno scrittore, per non dire nella letteratura in generale, provo qui ad elencarle.

- le ambientazioni sono realistiche, urbane, claustrofobiche ma anche possibiliste e futuribili, fanno da gabbia ma anche da tranpolino di lancio per sogni, interpretazioni. New York è quindi la città per eccellenza in cui si ambientano la maggiorparte dei suoi scritti (Brooklyn in particolare, quartiere di cui Lethem è originario). Si tratta però di ambientazioni cupe, stradaiole, in cui i personaggi paranoici ed insicuri si muovono a tentoni pur conoscendone di fatto strade e situazioni principali.

- i personaggi paranoici, sospettosi e alla continua ricerca di un senso di se nel mondo, solipsistici a volte, di certo con mille sindromi, problematici, che non sanno a volte discernere cosa sia realtà e cosa finzione (elemento tra l’altro di meta narrazione con cui Lethem infarcisce i suoi racconti). Insomma personaggi “Dickiani”, derivati dalla passione viscerale e compulsiva per il maestro della fantascienza Philip K. Dick.

- gli sfondi fantascientifici. Fatti di una materia reale però, di fantascenza possibile, in pieno stile Dick (gli estranei alla fantascienza direbbero “Orwelliana”). Di fatto si può quasi dire che Lethem riesca a portare nel romanzo reale la materia con cui Dick ha infarcito i suoi libri di fantascienza (“reale”). E per questo non è un epigono del maestro ma anzì, uno dei più fedeli e capaci seguaci.

Tutti questi ingredienti a mio parere fanno di Lethem uno dei migliori scrittori in circolazione, perchè capace di far suo un immaginario fantastico, unirlo a quello reale e cittadino, e a delle storie di crescita, di sviluppo dei personaggi nel tempo della loro esistenza, in cui si mischiano paranoie, paure e pochissime certezze.

Tutta questa intro per dire che Lethem pochi mesi fa ha pubblicato il libro che avrebbe sempre voluto scrivere, ovvero l’omaggio sotto forma di racconti e di saggi, al grande maestro Philip K. Dick. Si chiama “Crazy Friend – io e Philip Dick” è edito da Minimum Fax e rappresenta per un amante di Dick come il sottoscritto, una delle più belle letture e disamine che potessero capitare.

Se non avete mai letto nulla dell’autore di romanzi che hanno ispirato film come “Blade Runner“, “Un oscuro scrutare”, “Scanners”, “Atto di forza” o “Guardiani del destino”, Crazy Friend potrebber essere uno straordinario punto d’inizio. Se al contrario conoscete benissimo la sua cosmologia ma magari conoscete meno quella di Lethem, fatevi introdurre in entrambi i mondi da questo piccolo, prezioso diario di uno scrittore di talento. Scoprirete come Lethem sia un crocevia di culture, un intenso focolaio di stimoli.

Luke

giovedì 23 giugno 2011

Il mezz'uomo

No, il giornale che ha ideato questa copertina non è di sinistra. E' l'economist, giornale anglosassone pilastro degli economisti mondiali. Non serve aggiungere altro se non "leggete internazionale (che riporta molti articoli dell'economist tra gli altri), un buon punto di accesso potrebbe essere questo numero se non l'avete mai fatto". Ora in edicola.

sabato 11 giugno 2011

Al mare vaccè te, io vado a votare

Come Bettino Craxi vent’anni fa, Silvio Berlusconi ha invitato gli italiani ad andare a mare invece di andare a votare per i referendum domenica e lunedì.

Ma al di là del mare ci sono quattro sì per mandare anche lui ad Hammamet come Bettino Craxi!

E speriamo di raggiungere il quorum e levarcelo dai coglioni presto.

sabato 28 maggio 2011

The revolution will not be televised…addio Gill.

E’ morto a New York a 62 anni per una malattia incurabile Gill Scott Heron, una delle personalità più forte nella musica mondiale. Voce degli afroamericani fin dai tempi delle black panthers con i suoi intensi scritti e fondamentali dischi che parlavano di rivoluzione.

Negli anni ’70 ha dato vita di fatto al movimento musicale di protesta che ha sempre accompagnato le black panthers ed ogni movimento per i diritti civili degli afroamericani. Ha di fatto dato voce nelle radio a ciò che stava accadendo nelle strade del Bronx e di Harlem:

Nel 2010 è uscito il suo ultimo album “I’m new here” un capolavoro assoluto di black poetry/spoken word su basi elettroniche. Lavoro innovativo che lo aveva rimesso sulla mappa musicale mondiale dopo alcuni anni di silenzio. Nel 2011 è uscito “we are new here“, remix dell’album per mano di XXL, dj inglese che ha saputo dare voce a Gill anche su ritmi dubstep ed elettronici.

Oggi piango la sua morte, perchè anche attraverso i suoi dischi ho compreso una parte del mondo ed una parte di me, quella più legata alla cultura afroamericana che a quella bianca europea.

Una leggenda che non verrà celebrata probabilmente come tale, visti i suoi trascorsi reazionari, ed è triste pensarlo.

A 62 anni era ancora in grado di innovare e di parlare alla sua gente comunicando messaggi positivi. Il mondo sentirà la sua mancanza. Basta ascoltare “Me and the devil” per rendersene conto:

In me porterò sempre il ricordo dei suoi dischi acquistati in un “bargain floor” in un polveroso negozio della grande mela, dove ha vissuto la gran parte della sua vita (Bronx) e dove ha di fatto dato il là al movimento rap (è stato il primo a “parlare” su una base).

Un abbraccio forte Gill, mi mancherai, mi mancherà sapere che c’eri…

giovedì 26 maggio 2011

La Cina, la moratoria sulla pena di morte e quello strano silenzio dei media

Segnalo di seguito un articolo interessante di Gennaro Carotenuto tratto da Giornalismo partecipativo. Fa riflettere in effetti.

La notizia che la Corte suprema cinese abbia dichiarato una moratoria di due anni sulla pena di morte è una splendida ed importantissima novità che meriterebbe la prima pagina sui giornali. Va celebrata come un grandissimo trionfo di chi da sempre si è battuto contro la pena di morte anche in quel grande paese. Tuttavia c’è qualcosa che stride…Come si spiega infatti che dopo aver dedicato migliaia di articoli a denunciare l’uso della pena di morte in Cina oggi i nostri media non raccolgano i frutti di un successo che in teoria è anche un po’ loro? Come mai a parte un buon articolo della Repubblica (a p. 19 del cartaceo, online c’è una breve delle 19 di ieri) nulla si trovi sul Corriere della Sera? Come mai La Stampa preferisca avere tra i titoli degli Esteri un pezzullo sul golf a Cuba (un evergreen) e nulla su un notizia così importante.

Google news, che in queste cose non mente, ci spiega che in chiave Cina quella sulla moratoria è solo la quinta notizia del giorno, dopo il viaggio della Lagarde in quel paese per perorare la sua causa all’FMI, l’acquisto cinese di titoli del debito portoghese, la visita del dittatore nordcoreano Kim Jong-il e un attentato terroristico. Oltre alla Repubblica e agli ovvi siti del Partito Radicale non c’è nessun altro grande giornale che si occupi del caso.

Sorge spontaneo pertanto un retropensiero. Si occupavano di pena di morte perché erano davvero contro la pena di morte o perché la notizia della pena di morte in Cina era funzionale alla costruzione retorica occidentalista mentre la moratoria non lo è?

domenica 1 maggio 2011

You know, it’s like…oh my god.

Gli americani sono persone affascinanti. Non si può neanche parlare di vero e proprio popolo perchè l’eterogeneità che ne caratterizza le componenti, fa si che sia più appropriato un termine meno aggregante, meno accorpativo, come melting pot per esempio. Sono affascinanti perchè pur essendo così diversamente composti, mantengono tratti caratteristici unici, riconoscibili e fortemente in grado di definirli. Con Max lo abbiamo notato a più riprese in diversi contesti anche se in un caso in particolare di vita quotidiana l’americano si distingue più che in altri per essere appunto americano: il dialogo uno a uno. E’ in questa particolare circostanza, così intima, che sono individuabili almeno 4 elementi che differenziano l’americano (senza distinzione di ceppo etinco) da un europeo ma anche da un sud americano o da un asiatico:

- la mimica facciale da consumato attore protagonista di Hollywood - la farcitura esasperata delle frasi con intercalare magnificenti quali “you know”, “it’s like”, “oh my god”, “you know wha’msaying?” - la comunicazione esclusivamente mono-direzionale - l’ossessivo e continuo riporto del discorso diretto

Provate ad osservare un americano qualsiasi all’interno di un dialogo con una o più persone. Noterete che uno di loro, l’attore protagonista, starà parlando come ad una platea, con lo stesso atteggiamento che non contempla interruzioni nè accenni di possibilità di conversazione. Riporterà, cosa rara ad esempio nella lingua parlata italiana, discorsi avuti con altre persone in maniera diretta (es:”e così lui mi ha detto: oh mio dio, quindi ci sei andata a letto? E io gli ho risposto: ma certo che domande, ovvio che ci sono andata!”…e via dicendo). Per dare ritmo alla frase, il nostro americano sparerà almeno 6 “you know, it’s like...” nello spazio di 10/15 parole. Le chiamano routine, frasi di circostanza, intercalare. La lingua americana ne è piena e ci tiene a sottolinearlo condendo le frasi con una dose di enfasi da attore che nessun europeo riuscirà mai ad eguagliare a meno che non si stia cimentando con una commedia sul palco di un teatro.

Osservare la teatralità di questi individui, così diversi eppure così uguali tra di loro, in grado di dare importanza eccessiva a determinate situazioni/dialoghi/accadimenti e allo stesso tempo di ignorane con la stessa intensità tante altre, magari semplicemente a parità di valore oggettivo; e ancora osservare la loro cultura della spettacolarizzazione ad ogni costo di situazioni anche banali e dei dialoghi stessi, può lasciare l’europeo davvero stranito.

Che sia in questa loro innata attitudine Hollywoodiana il segreto del loro fascino?

sabato 30 aprile 2011

Una scorpacciata di anatra all’arancia meccanica

E’ uscito da qualche settimana un libro che considero già imprescindibile per chi ha vissuto gli anni zero ed ama gli sguardi obliqui, quelli insoliti, quelli da prospettive sui generis in grado di inquadrare diversamente e con lucida amarezza quanto sana ironia, i tempi in cui viviamo ed abbiamo appena vissuto. Il libro si intitola “Anatra all’arancia meccanica” è edito da Einaudi ed è scritto dal quartetto di scrittori (semi) anonimi Wu-Ming. Dentro ci sono finiti scritti, racconti e saggi tratti da 10 anni di pubblicazioni on-line o in antologie varie. Racconti che se letti assieme ci narrano, sfiorandoli abilmente, gli accadimenti più rilevanti degli anni 2000. Alla maniera dei Wu Ming chiaramente, tra sci-fiction e non-fiction. Questo un passo della bellissima prefazione scritta da Tommaso de Lorenzis: “Dunque, Anatra all’arancia meccanica non fa sconti. A distanza dalla rappresentazione più ovvia, ostentando un plurilinguismo scoppiettante, procedendo da osservatori inusuali, battendo percorsi indiretti, affronta le questioni cruciali del nostro tempo. Racconta il disordine ambientale, il transito dei migranti, l’eccedenza delle storie, l’isteria securitaria, l’intolleranza microfisica, la «micromegalomania» narcisistica, la condizione del lavoro intellettuale. Presenta il decesso di un’epoca marchiata a fuoco da guerre e disastri. Assume con elegante riserbo ciascuna delle sconfitte maturate nel corso di questo decennio e ha lo stile di non vendere la consolazione a buon mercato dell’“avevamo ragione”. Consigliatissimo.

giovedì 21 aprile 2011

Ciao Vittorio

Qualche giorno fa hanno ammazzato Vittorio Arrigoni. Autore del libro sulla striscia di Gaza "Restiamo umani", blogger di fama internazionale per la sua lotta contro le ingiustizie, le finte democrazie, le guerre vere, le guerre inventate, i valori che ogni uomo dovrebbe avere. Ce lo hanno ammazato israeliani sionisti mentre si trovava nella strscia di Gaza a portare aiuti umanitari e a raccontare (unico italiano, anche sotto i bombardamenti del 2009) i fatti quotidiani dall'interno della striscia.

L'hanno ucciso perchè portava informazione e pace. Un eroe moderno la cui morte è passata sotto silenzio. Come lo fu quella di un Peppino Impastato (per motivi assimilabili anche se su suolo italiano, vedere "i 100 passi" per le prove). Dopo giorni di prigionia e nella totale indifferenza mediatica e soprattutto politica, un blogger è stato ammazzato per la sua opera di divulgazione. Non ci sono altre considerazioni da fare. Riporto con le lacrime agli occhi il suo manifesto che ancora campeggia e sempre campeggerò su uno dei blog di controinformazione più importanti d'Italia (si anche più di quello di Grillo): Guerrilla Radio.

Guerriglia alla prigionia dell'Informazione. Contro la corruzione dell'industria mediatica, il bigottismo dei ceti medi, l'imperdonabile assopimento della coscienza civile. La brama di Verità prima di ogni anelito, l'abrasiva denuncia, verso la dissoluzione di ogni soluzione precostituita, L'infanticidio di ogni certezza indotta. La polvere nera della coercizione entro le narici di una crisi di rigetto. L'abbuffata di un pasto nudo, crudo amaro quanto basta per non poter esser digerito.

A-men.

sabato 19 marzo 2011

Pensieri a ruota libera

Viviamo in tempi strani e bastardi. Il mondo torna indietro di 60 anni allo spettro nucleare, alla paura fottuta di mutazioni, radiazioni, tempeste atomiche, nevi nuclerari. Assistiamo impotenti allo sfaldarsi delle certezze, per l'ennesima volta. Guardiamo distrattamente dall'altra parte del mondo mentre nella nostra nazione si festeggia un ideale ormai andato perso da 150 anni. Esaltiamo la forza, la rabbia e l'orgoglio attraverso parate militari mentre ci apprestiamo a fornire armi, quella stessa forza e basi militari per combattere uno storico, folle, alleato.

Guardiamo alle stragi con strafottenza, invochiamo la necessità di energia pulita accordandoci con i dittatori somali per stivare le scorie di quell'energia nella loro terra. Ci preoccupiamo perchè quelle scorie sono le stesse che ci fanno paura rivolgendo lo sguardo al giappone, ma allo stesso tempo abbiamo bisogno di loro per affrancarci dalla richiesta di energia estera e abbassare il deficit della nostra bilancia commerciale. E festeggiamo.

Guardiamo quasi con invidia alle rivoluzioni in atto, incapaci di dare vita alla nostra, poi reagiamo con sdegno se i rivoluzionari si posano sulla nostra terra. E intanto, festeggiamo.

Alcuni di noi, purtroppo la minoranza, è stanca del parlare, del promettere, del discorrere di politici corrotti e impuniti, ma non resiste al fascino di un applauso rivolto al parlamento, dove un anziano signore parla di un'Italia ormai passata, distrutta, rasa al suolo nei valori ed ideali.

E festeggiamo.
Facciamo zapping tra gli stimoli esterni, slalom tra le notize interne ed estere e componiamo il nostro blob personale.

Chi ci capisce più qualcosa si alzi in piedi.

Ah ecco, siete tutti seduti.

domenica 13 marzo 2011

La disturbante bellezza del “cigno nero”

Disturbante, poetico, ipereale, catartico, viscerale. E’ il canto straziante e dannatamente intenso di Darren Aronofsky, assurto a nuovo Cronenberg, a cantore principe della fisicità disturbata, tumorale, sottocutanea. Il suo cigno nero è cinema esplorativo, indagatore, psicoattivo, allucinato. Si palesa nell’utilizzo delle soggettive, dei controcampi, di telecamere a spalla, di movimenti continui e inquietanti, si concretizza in un clima di tensione fisica costante, di metamorfismo pronto ad accadere. E’ cinema fatto di aggettivi, di grigi, di linee di confine, di separazioni e scissioni interne. E’ uno sguardo affilato che squarcia le carni per guardare dentro l’anima, coglierne psicosi, paure, dissociazioni. E’ un approccio alla narrazione capace di sfondare i generi, di confutarli e metterli in continuo contrasto. Il cigno nero è il pianto di “requiem for a dream“, lo squarcio in testa di “pigreco il teorema del delirio“, la schizzofrenia di “the wrestler” e l’introspezione onirica di “the fountain“. E’ summa di linguaggi e concetti. Il cigno nero è la bellezza che abbraccia il lato oscuro. E’ anoressia, bulimia, è stress, è paranoia, è ossessione per i propri obiettivi, il proprio corpo, il proprio essere. Tutto in una sola pellicola. Tutto in una sola, grandissima interpretazione, da storia del cinema. Tutto negli sguardi alluncinati di una ballerina (Natalie Portman), nel suo allucinante obiettivo finale che richiede il superamento del proprio io, delle proprie paure e delle proprie catene (materne, come in molte malattie). E’ una storia moderna, fatta di malattie moderne, di allucinazioni, di sdoppimaento della personalità (cigno nero, cigno bianco) e ricerca di unificazione (cigno nero). E’ inquietudine fisica e morale. Ed è abbandono. Dannato, auspicato, liberatorio abbandono.

domenica 27 febbraio 2011

lunedì 24 gennaio 2011

Tunisia, 14 gennaio 2011

Il 15 gennaio per puro caso mi sono trovato a leggere sul posto di lavoro un report riguardante una nuova fabbrica con la quale l’azienda per cui lavoro intraprenderà una collaborazione in questo 2011. Trattasi di un produttore di forti radici ed origini italiane che da tempo ha trasferito la sua sede in un paese che, come recitava il report “è stabile, ha un governo fortemente orientato al business, è di religione mussulmana e permette il fluire di capitali esteri”. Questo paese è la Tunisia.

Mettendo per un attimo da parte l’elemento fortuito e grottesco rappresentato dal fatto di aver letto quelle parole nero su bianco e per pura casualità il giorno dopo le rivolte tunisine che la storia daterà 14 gennaio 2011, riscattando in parte quel 09/11/2001di cui il mondo arabo non va certo fiero, ciò che in quel momento mi ha fatto riflettere è stato il pressappochismo con cui quelle parole erano state scritte (da un americano, il 7 gennaio). 


La Tunisia in effetti era fino a 15 giorni fa, per tutti, un paese lontano, noto più per la sua vicinanza alla Sicilia (si nel report c’era anche questo) e ad altre mete di villeggiatura estiva, ma anche un paese stabile, uno dei pochi con tale nomea all’interno dei paesi arabi. Ed è su quel “stabile” che vorrei soffermarmi perché stabile non significa né giusto né tranquillo, né fermo. Significa, nella nostra strana semantica, invisibile. 
Ciò che non conosciamo è stabile. La situazione del Kosovo è stabile. La situazione in Taiwan o in Vietnam è stabile. La situazione in Somalia, tra un genocidio e l’altro è stabile. Nel Kenya regna la stabilità. 



La stabilità, e la Tunisia lo dimostra, si fonda su una vita politica inconsistente e sulla concentrazione del potere nelle mani di uno solo o di pochi. 
Con gli alleati giusti, magari occidentali ed in grado di far fluire capitali nelle proprie terre e nelle mani giuste, questa sensazione apparente si può creare e comunicare all’esterno.
 Celando sfruttamenti, condizioni di povertà al limite, repressione violenta o silente, manipolazione dell’informazione. E ciò che è successo in questi giorni in Tunisia è forse la rappresentazione più forte ed ora evidente, di questo gioco perverso di percezione indotta.

Ma la rivoluzione, quella vera, violenta, visibile, venuta dal basso, senza bisogno di leader, di mediatori, di politici, quella del popolo, quella delle migliaia di persone che hanno capito quanto una massa unita possa fare massa critica, quella fatta dai cittadini e pianificata sul web, quella di chi ha voglia di scendere in piazza senza niente da perdere, quella RIVOLUZIONE, mette a nudo tutto questo. Mette in ginocchio un governo considerato stabile, mette paura a decine di governanti limitrofi (Gheddaffi il primo), porta agli occhi di tutti quelli che vogliono vedere qualcosa di più di semplici disordini e guerriglia da telegiornale. Mostra a tutti che ci si può alzare e provare a chiedere qualcosa di diverso per se stessi e per i propri figli.

Quello che i tunisini hanno fatto è stato scacciare la paura, rialzare la testa dopo anni di oppressione stabile e silenziosa; con una forza talmente dirompente da lasciare a bocca aperta i potenti di tutto il mondo (quante dichiarazioni su questo argomento avete sentito per bocca di chi conta, e non solo in Italia?), perchè se è successo in Tunisia, può succedere ovunque.

Svegliamoci, dormienti.

domenica 23 gennaio 2011

Le domande giuste

Antonio Moresco oggi scrive: "Perché in Italia è successo quello che è successo? Perché sta succedendo ancora? Perché l'Italia è stata e resta ancora una simile anomalia all'interno del nostro continente? Perché da noi c'è stato un simile mattatoio? Che gioco è stato giocato sulla nostra pelle, mentre ci parlavano d'altro, ci facevano vedere altro? Quale prezzo abbiamo pagato? E per cosa? Perché sono state messe le persone le une contro le altre, una parte di una stessa generazione contro un'altra, mentre quelli che continuavano a dominare dietro le quinte sono rimasti sempre gli stessi? Che cosa possiamo, che cosa dobbiamo fare di tutti i morti che ci sono stati, da una parte e dall'altra? Che spiegazione possiamo darci, che ragione? Che degna sepoltura possiamo dargli? Che cosa fare di tutti quegli assassinati? Che cosa fare di tutti quegli assassini?" Domande a cui oggi nessuno non solo non risponde, ma a cui nessuno fa riferimento. In politica, in democrazia. Domande forse senza più senso in giorni di piombo, in anni culturalmente di merda.

mercoledì 5 gennaio 2011

Interni di Ausonia: un capolavoro trascendentale

Ho terminato oggi in una giornata dedicata alle lettura il terzo capitolo di INTERNI, saga a fumetti ideata dall'artista toscano Ausonia. Ora posso ufficialmente affermare che si tratta di uno dei più bei fumetti di sempre. L'impalcatura che sorregge la trama è abbastanza semplice e portata avanti con relativa linearità nei primi due episodi...ma è nel terzo libro che tutto diventa chiaro, che tutto si complica, che i piani di realtà, finzione, lettura e scrittura si confondono in un meta fumetto che fa sognare e ragionare tantissimo chi lo approccia.

Nel raccontare la storia di uno scrittore di successo (un insettoide) stufo della gloria procuratagli dallo scrivere noiosi best seller, Ausonia ci porta all'interno della sua testa dove un editor mentale con il quale arriverà a scommettere di bruciare realmente tutte le sue tavole originali, lo spinge continuamente al confronto con il suo io, con le ragioni del suo essere, del suo scrivere e disegnare. Ne escono pagine bianche di solo testo in cui l'autore riflette sulla riproducibilità dell'opera stessa, sul significato sia per lo scrittore che per il lettore, di tendere alla ricerca di storie finite, che abbiano un senso di per se e quindi finte, lontane dall'infinito inseguire l'infinito della vita. Aus arriva quindi a parlare del senso stesso delle storie, della vita, del concetto di fine nelle opere artistiche. Lo fa passando da tavole a fumetti ad immagini fotografiche, parlando di se stesso come narratore e come schiavo del sistema consumistico fumettistico. E in una catarsi da brivido e commozione riesce pure a vincere la scommessa con il suo editor mentale bruciando tutte le sue tavole, fotografando l'atto e pubblicando tutto nel suo fumetto che è anche biografia, che è vita. La storia dell'insetto scrittore portata avanti per 2 volumi si perde quasi sullo sfondo di tutto questo per poi riprendersi nella pagine finali e contribuire a tirare le somme di quanto letto attraverso le 481 pagine dell'opera.

Ausonia trascende i generi, sconfina dal fumetto per entrare nel (foto)romanzo, si appropria di un medium troppo bistrattato per elevarlo a mezzo di comunicazione dal forte impatto comunicativo. Ed entra così a far parte di una schiera di autori consapevoli in grado di far ragionare il lettore sulla struttura stessa di ciò che sta leggendo e addirittura sull'opportunità di farlo nel qui ed ora. Solo Antonio Moresco in Italia è riuscito a fare altrettanto a mio parere. Solo Alan Moore nel fumetto internazionale (Promethea su tutti) è andato ancora (moltissimo) oltre.

Leggere interni eleverà la vostra concezione di fumetto all'ennesima potenza. Potete farlo adesso, acquistando le due ore più belle che possiate regalarvi in compagnia di una graphic novel: http://www.doubleshot.it/page3/page3.html

Per maggiori informazioni su ausonia: http://ausonia-23.blogspot.com/

Per ascoltare il disco Beauty Industries dei Groovenauti tratto dal precedente lavoro di Ausonia:
http://groovenauti.com/discografia/

martedì 4 gennaio 2011

Si alzi il sipario, dietro poco o nulla

E' da qualche giorno che, con più tempo a disposizione del solito (benedette ferie), mi informo, scavo, navigo, vago, mi perdo, mi trovo, mi annoio. E' una ricerca estenuante di stimoli che però arrivano scarsi. Pure quelli negativi, tanto che sembra di aver già parlato di tutto, sembra di essersi lamentati di tutto. E mi chiedo, è forse questo il mio problema più grande, forse anche quello della mia generazione? Sovrastimolati alla ricerca di continuo cibo per mente e corpo, tanto da smollare il già sentito, il già visto, il già dibattuto? Sarebbe un bel problema, sarebbe alto tradimento nei confronti di quella frase riportata in testa a questo blog...eppure... Eppure il primo post del 2011 non può che essere questo, non può che essere un'autocritica, una riflessione da cui partire.