sabato 28 maggio 2011

The revolution will not be televised…addio Gill.

E’ morto a New York a 62 anni per una malattia incurabile Gill Scott Heron, una delle personalità più forte nella musica mondiale. Voce degli afroamericani fin dai tempi delle black panthers con i suoi intensi scritti e fondamentali dischi che parlavano di rivoluzione.

Negli anni ’70 ha dato vita di fatto al movimento musicale di protesta che ha sempre accompagnato le black panthers ed ogni movimento per i diritti civili degli afroamericani. Ha di fatto dato voce nelle radio a ciò che stava accadendo nelle strade del Bronx e di Harlem:

Nel 2010 è uscito il suo ultimo album “I’m new here” un capolavoro assoluto di black poetry/spoken word su basi elettroniche. Lavoro innovativo che lo aveva rimesso sulla mappa musicale mondiale dopo alcuni anni di silenzio. Nel 2011 è uscito “we are new here“, remix dell’album per mano di XXL, dj inglese che ha saputo dare voce a Gill anche su ritmi dubstep ed elettronici.

Oggi piango la sua morte, perchè anche attraverso i suoi dischi ho compreso una parte del mondo ed una parte di me, quella più legata alla cultura afroamericana che a quella bianca europea.

Una leggenda che non verrà celebrata probabilmente come tale, visti i suoi trascorsi reazionari, ed è triste pensarlo.

A 62 anni era ancora in grado di innovare e di parlare alla sua gente comunicando messaggi positivi. Il mondo sentirà la sua mancanza. Basta ascoltare “Me and the devil” per rendersene conto:

In me porterò sempre il ricordo dei suoi dischi acquistati in un “bargain floor” in un polveroso negozio della grande mela, dove ha vissuto la gran parte della sua vita (Bronx) e dove ha di fatto dato il là al movimento rap (è stato il primo a “parlare” su una base).

Un abbraccio forte Gill, mi mancherai, mi mancherà sapere che c’eri…

giovedì 26 maggio 2011

La Cina, la moratoria sulla pena di morte e quello strano silenzio dei media

Segnalo di seguito un articolo interessante di Gennaro Carotenuto tratto da Giornalismo partecipativo. Fa riflettere in effetti.

La notizia che la Corte suprema cinese abbia dichiarato una moratoria di due anni sulla pena di morte è una splendida ed importantissima novità che meriterebbe la prima pagina sui giornali. Va celebrata come un grandissimo trionfo di chi da sempre si è battuto contro la pena di morte anche in quel grande paese. Tuttavia c’è qualcosa che stride…Come si spiega infatti che dopo aver dedicato migliaia di articoli a denunciare l’uso della pena di morte in Cina oggi i nostri media non raccolgano i frutti di un successo che in teoria è anche un po’ loro? Come mai a parte un buon articolo della Repubblica (a p. 19 del cartaceo, online c’è una breve delle 19 di ieri) nulla si trovi sul Corriere della Sera? Come mai La Stampa preferisca avere tra i titoli degli Esteri un pezzullo sul golf a Cuba (un evergreen) e nulla su un notizia così importante.

Google news, che in queste cose non mente, ci spiega che in chiave Cina quella sulla moratoria è solo la quinta notizia del giorno, dopo il viaggio della Lagarde in quel paese per perorare la sua causa all’FMI, l’acquisto cinese di titoli del debito portoghese, la visita del dittatore nordcoreano Kim Jong-il e un attentato terroristico. Oltre alla Repubblica e agli ovvi siti del Partito Radicale non c’è nessun altro grande giornale che si occupi del caso.

Sorge spontaneo pertanto un retropensiero. Si occupavano di pena di morte perché erano davvero contro la pena di morte o perché la notizia della pena di morte in Cina era funzionale alla costruzione retorica occidentalista mentre la moratoria non lo è?

domenica 1 maggio 2011

You know, it’s like…oh my god.

Gli americani sono persone affascinanti. Non si può neanche parlare di vero e proprio popolo perchè l’eterogeneità che ne caratterizza le componenti, fa si che sia più appropriato un termine meno aggregante, meno accorpativo, come melting pot per esempio. Sono affascinanti perchè pur essendo così diversamente composti, mantengono tratti caratteristici unici, riconoscibili e fortemente in grado di definirli. Con Max lo abbiamo notato a più riprese in diversi contesti anche se in un caso in particolare di vita quotidiana l’americano si distingue più che in altri per essere appunto americano: il dialogo uno a uno. E’ in questa particolare circostanza, così intima, che sono individuabili almeno 4 elementi che differenziano l’americano (senza distinzione di ceppo etinco) da un europeo ma anche da un sud americano o da un asiatico:

- la mimica facciale da consumato attore protagonista di Hollywood - la farcitura esasperata delle frasi con intercalare magnificenti quali “you know”, “it’s like”, “oh my god”, “you know wha’msaying?” - la comunicazione esclusivamente mono-direzionale - l’ossessivo e continuo riporto del discorso diretto

Provate ad osservare un americano qualsiasi all’interno di un dialogo con una o più persone. Noterete che uno di loro, l’attore protagonista, starà parlando come ad una platea, con lo stesso atteggiamento che non contempla interruzioni nè accenni di possibilità di conversazione. Riporterà, cosa rara ad esempio nella lingua parlata italiana, discorsi avuti con altre persone in maniera diretta (es:”e così lui mi ha detto: oh mio dio, quindi ci sei andata a letto? E io gli ho risposto: ma certo che domande, ovvio che ci sono andata!”…e via dicendo). Per dare ritmo alla frase, il nostro americano sparerà almeno 6 “you know, it’s like...” nello spazio di 10/15 parole. Le chiamano routine, frasi di circostanza, intercalare. La lingua americana ne è piena e ci tiene a sottolinearlo condendo le frasi con una dose di enfasi da attore che nessun europeo riuscirà mai ad eguagliare a meno che non si stia cimentando con una commedia sul palco di un teatro.

Osservare la teatralità di questi individui, così diversi eppure così uguali tra di loro, in grado di dare importanza eccessiva a determinate situazioni/dialoghi/accadimenti e allo stesso tempo di ignorane con la stessa intensità tante altre, magari semplicemente a parità di valore oggettivo; e ancora osservare la loro cultura della spettacolarizzazione ad ogni costo di situazioni anche banali e dei dialoghi stessi, può lasciare l’europeo davvero stranito.

Che sia in questa loro innata attitudine Hollywoodiana il segreto del loro fascino?