lunedì 26 settembre 2011

Amazon sfrutta i propri dipendenti. E lo si scopre ora?

Riprendo da "Giap", autorevole newsletter curata dal collettivo di scrittori Wu-Ming:

La settimana scorsa The Morning Call, un quotidiano della Pennsylvania, ha pubblicato una lunga e dettagliata inchiesta – intitolata Inside Amazon’s Warehouse – sulle terribili condizioni di lavoro nei magazzini Amazon della Lehigh Valley. Il reportage, risultato di mesi di interviste e verifiche, sta facendo il giro del mondo ed è stato ripreso dal New York Times e altri media mainstream.

Il quadro è cupo:
- estrema precarietà del lavoro, clima di perenne ricatto e assenza di diritti;
- ritmi inumani, con velocità raddoppiate da un giorno all’altro (da 250 a 500 “colli” al giorno, senza preavviso), con una temperatura interna che supera i 40° e in almeno un’occasione ha toccato i 45°;
- provvedimenti disciplinari ai danni di chi rallenta il ritmo o, semplicemente, sviene (in un rapporto del 2 giugno scorso si parla di 15 lavoratori svenuti per il caldo);
- licenziamenti “esemplari” su due piedi con il reprobo scortato fuori sotto gli occhi dei colleghi.
E ce n’è ancora. Leggetela tutta, l’inchiesta. Ne vale la pena. La frase-chiave la dice un ex-magazziniere: “They’re killing people mentally and phisically.

A giudicare dai commenti in rete, molti cadono dalle nuvole, scoprendo soltanto ora che Amazon è una mega-corporation e Jeff Bezos un padrone che – com’è consueto tra i padroni – vuole realizzare profitti a scapito di ogni altra considerazione su dignità, equità e sicurezza.
Come dovevasi sospettare, il “miracolo”-Amazon (super-sconti, spedizioni velocissime, “coda lunga”, offerta apparentemente infinita) si regge sullo sfruttamento di forza-lavoro in condizioni vessatorie, pericolose, umilianti. Proprio come il “miracolo”-Walmart, il “miracolo”-Marchionne e qualunque altro miracolo aziendale ci abbiano propinato i media nel corso degli anni.
Quanto appena scritto dovrebbe essere ovvio, eppure non lo è. Il disvelamento non riguarda un’azienda qualsiasi, ma Amazon, sorta di “gigante buono” di cui – anche in Italia – si è sempre parlato in modo acritico, quando non adorante e populista.
The Morning Call ha rotto un incantesimo. Fino a qualche giorno fa, con poche eccezioni, i mezzi di informazione (e i consumatori stessi) accettavano la propaganda di Amazon senza l’ombra di un dubbio, come fosse oro colato. D’ora in poi, forse si cercheranno più spesso i riscontri, si faranno le dovute verifiche, si andranno a vedere eventuali bluff. Con il peggiorare della crisi, sembra aumentare il numero degli scettici.

Aggiungo solo di mio pugno che in effetti fa tristezza vedere come dietro presunti miracoli economici, aziendali ecc, si nasconda sempre lo sfruttamento dei più deboli. D'altra parte, avendo capito le basi del capitalismo, la cosa non dovrebbe stupire affatto. Così come paesi sviluppati prosperano e a farne le spese sono quelli sottosviluppati che per definizione "nutrono" quelli sviluppato, producendo o rinunciando a determinate ricchezze (sociali ed economiche), le multinazionali prosperano basando le proprie economie di costo, di time to market ecc. sfruttando i propri lavoratori più deboli.

Non è una novità purtroppo. La novità sta nel riuscire a scoprire ogni tanto qualche nuovo "illustre" colpevole...



domenica 25 settembre 2011

Stai colmo!

"Stai colmo! Questo mi sono detto nel fare voto di vastità, scavando il fosse, usando il confine tra sogno e bisogno (l'incubo è confonderli!). Così tra tellurico ed onirico, in uno spazio agli antipodi, in un limbo dell'imparadiso ho avuto un sentore: URGE." Reagire. Dall'ultimo spettacolo di Alessandro Bergonzoni "URGE". Nuova linfa.

sabato 10 settembre 2011

lost in situation

Ultimamente condivido sempre meno. La parola stessa "condivisione" è talmente abusata che ha perso di significato, si è svuotata, ribaltata. Tanto che la vera condivisione non riesco più a comprenderla, ad interpretarla. Mettere in rete i propri pensieri, cercare di afferarne il senso mentre li scrivi, cercare di decifrarli. Condividere per capirsi? Forse si, in ultima istanza è questo che tutti facciamo. Ma la cosa sta perdendo il suo fascino. Ha perso il suo fascino anche capirsi. E di me stesso capisco sempre meno.