venerdì 3 febbraio 2012

From New Zeland with love: l’ondata reggae-soul-dub che fa bene alla musica.

Di recente mi sono concentrato sulla provenienza geografica di alcuni dei musicisti che più mi hanno dato in termini di emozioni e stimoli in questi ultimi 2/3 anni. Ne è emersa una mappa insolita, quantomeno se paragonata a quella che idealmente avrei potuto compilare qualche anno fa. Le zone calde (e l'aggettivo non è casuale dato il tipo di musica) risultano quindi posizionate e concentrate sopratutto nell'emisfero australe, in corrispondenza di quella zolla di terra che va sotto il nome di Nuova Zelanda. E' lì dove gli stereotipi cadono, dove la creatività si fa più forte e dove certi tipi di suono possono sprigionarsi senza troppo badare all'evolversi delle scene musicali maggiormente considerate, vedi quella del nord Europa per ciò che riguarda la musica elettronica (e con questo termine comprendo dal dub-step al dub-soul ma anche elettronica in senso stretto e quella zona grigia tra electro djing ed hiphop) e quella americana, sponda brooklyn, per ciò che riguarda il nu-rock contaminato da presenze afro-americane ed echi soul. Ecco in Nuova Zelanda, dove evidentemente non si gioca solo a rugby ma si produce anche dell'ottima musica fondendo folk locale al soul più classico e prendendo ispirazione solo a tratti dal mondo dei club europei e dei loro dj, per poi continuare a tracciare una via propria grazie ad una musica maggiormente suonata, più corale e reggae nello spirito (ma anche ne suono e negli strumenti utilizzati), in Nuova Zelanda dicevo, il suono non si uniforma ma si modella su un genere che, in Europa per esempio, solo gli inglesi (sponda Brighton) Belleruches riescono a proporre. I capostipiti del suono con cui possiamo identificare a tutti gli effetti la Zelanda sono certamente i Fat Freeddy's Drop, un assembramento di 6 musicisti in grado di comporre suite dub di 8 minuti e di esplodere in momenti di assoluta estasi sonora. Gruppo positivo per antonomasia. Stessa positività e grinta, condita da punte introspettive degne del miglior soul afroamericano, anche da parte di Ladi6, regina assoluta del soul neozeolandese che con il suo "the liberation of" ha stregato l'Europa nel 2011 (aprendo anche qualche tappa del tour dei Fat Freddy's). Stesso mood ma un po' più cinematico e sintetico è quello che è in grado di portarci Julien Dyne, anche lui influenzato non poco dai compagni di viaggio Fat di cui ha assimilato l'estetica ed i tempi dilatati del dub. Se Ladi6 ha energia da vendere, non è da meno Selah Sue, altra artista donna con una voce molto simile e un suono altrettanto energico e positivo. Reggamuffin d'autrice. Sarà un caso poi (ci credete sul serio?), ma artiste di sesso femminile in Nuova Zelanda mettono voce ed atteggiamento davanti all'apparenza fisica, proprio come le soulsinger degli anni 60/70 (remembering Wendy Rene) ed in netto contrasto a ciò che accade oggi nei circuiti commerciali Americani ed Europei. Sempre restando in ambito femminile, come non citare Iva Lamkum, voce che nobilità i pezzi più intensi ed incredibilmente funky dei Sola Rosa, altro gruppo che ha fatto impazzire l'Europa nel 2010/11 con una release memorabile: get it togheter. Ma l'elenco di nomi non finisce qui e vedi l'aggiungersi di Electric Wire Hustler, leggermente più europei e meno debitori agli strumenti suonati dal vivo ma altrettanto sul pezzo nel comporre l'estetica musicale neo-zelandese. In breve, non ce n'è, in questo momento è dal continente australiano che provengono le produzioni più interessanti e fresche, quelle che riescono a portare un po' di novità anche nel panorama europeo e americano. Senza nulla togliere alla scena berlinese o a quella inglese, sempre un passo avanti rispetto a tutti, ma in altri ambiti. Nu Soul, Nu Raggae, NU ZELAND. Chi l'avrebbe mai detto? Luke

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