Viviamo in tempi strani e bastardi. Il mondo torna indietro di 60 anni allo spettro nucleare, alla paura fottuta di mutazioni, radiazioni, tempeste atomiche, nevi nuclerari. Assistiamo impotenti allo sfaldarsi delle certezze, per l'ennesima volta. Guardiamo distrattamente dall'altra parte del mondo mentre nella nostra nazione si festeggia un ideale ormai andato perso da 150 anni. Esaltiamo la forza, la rabbia e l'orgoglio attraverso parate militari mentre ci apprestiamo a fornire armi, quella stessa forza e basi militari per combattere uno storico, folle, alleato.
Guardiamo alle stragi con strafottenza, invochiamo la necessità di energia pulita accordandoci con i dittatori somali per stivare le scorie di quell'energia nella loro terra. Ci preoccupiamo perchè quelle scorie sono le stesse che ci fanno paura rivolgendo lo sguardo al giappone, ma allo stesso tempo abbiamo bisogno di loro per affrancarci dalla richiesta di energia estera e abbassare il deficit della nostra bilancia commerciale. E festeggiamo.
Guardiamo quasi con invidia alle rivoluzioni in atto, incapaci di dare vita alla nostra, poi reagiamo con sdegno se i rivoluzionari si posano sulla nostra terra. E intanto, festeggiamo.
Alcuni di noi, purtroppo la minoranza, è stanca del parlare, del promettere, del discorrere di politici corrotti e impuniti, ma non resiste al fascino di un applauso rivolto al parlamento, dove un anziano signore parla di un'Italia ormai passata, distrutta, rasa al suolo nei valori ed ideali.
E festeggiamo.
Facciamo zapping tra gli stimoli esterni, slalom tra le notize interne ed estere e componiamo il nostro blob personale.
Chi ci capisce più qualcosa si alzi in piedi.
Ah ecco, siete tutti seduti.
Stai colmo! Questo mi sono detto nel fare voto di vastità, scavando il fosse, usando il confine tra sogno e bisogno (l'incubo è confonderli!). Così tra tellurico ed onirico, in uno spazio agli antipodi, in un limbo dell'imparadiso ho avuto un sentore: URGE. - Alessandro Bergonzoni 2011 -
sabato 19 marzo 2011
domenica 13 marzo 2011
La disturbante bellezza del “cigno nero”
Disturbante, poetico, ipereale, catartico, viscerale. E’ il canto straziante e dannatamente intenso di Darren Aronofsky, assurto a nuovo Cronenberg, a cantore principe della fisicità disturbata, tumorale, sottocutanea.
Il suo cigno nero è cinema esplorativo, indagatore, psicoattivo, allucinato. Si palesa nell’utilizzo delle soggettive, dei controcampi, di telecamere a spalla, di movimenti continui e inquietanti, si concretizza in un clima di tensione fisica costante, di metamorfismo pronto ad accadere.
E’ cinema fatto di aggettivi, di grigi, di linee di confine, di separazioni e scissioni interne. E’ uno sguardo affilato che squarcia le carni per guardare dentro l’anima, coglierne psicosi, paure, dissociazioni. E’ un approccio alla narrazione capace di sfondare i generi, di confutarli e metterli in continuo contrasto.
Il cigno nero è il pianto di “requiem for a dream“, lo squarcio in testa di “pigreco il teorema del delirio“, la schizzofrenia di “the wrestler” e l’introspezione onirica di “the fountain“. E’ summa di linguaggi e concetti.
Il cigno nero è la bellezza che abbraccia il lato oscuro. E’ anoressia, bulimia, è stress, è paranoia, è ossessione per i propri obiettivi, il proprio corpo, il proprio essere. Tutto in una sola pellicola. Tutto in una sola, grandissima interpretazione, da storia del cinema. Tutto negli sguardi alluncinati di una ballerina (Natalie Portman), nel suo allucinante obiettivo finale che richiede il superamento del proprio io, delle proprie paure e delle proprie catene (materne, come in molte malattie).
E’ una storia moderna, fatta di malattie moderne, di allucinazioni, di sdoppimaento della personalità (cigno nero, cigno bianco) e ricerca di unificazione (cigno nero). E’ inquietudine fisica e morale.
Ed è abbandono.
Dannato, auspicato, liberatorio abbandono.
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