martedì 29 settembre 2009

L'industria farmaceutica e le sue porcherie

Riporto le preoccupanti conclusioni del Rapporto finale, pubblicato dalla Commissione Europea lo scorso 8 luglio sugli abusi in materia di concorrenza nel settore farmaceutico che meriterebbero di essere ben più diffuse di quello che sono. In sintesi: nel commercio dei farmaci la concorrenza non sta funzionando, i grandi gruppi farmaceutici ricorrono a ogni tipo di gioco sporco per impedire l’arrivo sul mercato di medicine più efficaci e soprattutto per squalificare i farmaci generici molto meno cari. Conseguenza: il ritardo nell’accesso del consumatore ai generici si traduce in importanti perdite finanziarie non solo per gli stessi pazienti ma anche per la Sicurezza Sociale a carico dello Stato (ossia dei contribuenti). Questo, inoltre, offre argomenti ai difensori della privatizzazione dei Sistemi Sanitari Pubblici, accusati di essere buchi neri di deficit nel bilancio degli Stati. I generici sono identici dal punto di vista medico, quanto a principi attivi, dosi, forma farmaceutica, sicurezza ed efficacia, ai farmaci originali prodotti in esclusiva dai grandi monopoli farmaceutici. Il periodo di esclusiva, che inizia nel momento in cui il prodotto è messo in vendita, ha scadenza decennale; ma la protezione del brevetto del farmaco originale dura vent’anni. Quindi è quando altri fabbricanti acquisiscono il diritto a produrre i generici che questi costano il 40% meno. L’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e la maggioranza dei Governi raccomandano l’uso di generici perché, per il loro costo inferiore, favoriscono l’accesso equitativo alla salute delle popolazioni esposte a malattie evitabili. L’obiettivo delle grandi marche farmaceutiche consiste, di conseguenza, nel ritardare con tutti i mezzi possibili la data di scadenza del periodo di protezione del brevetto; e usano il sistema di brevettare additivi superflui del prodotto (un polimorfo, una forma cristallina, ecc.) ed estendere così, artificialmente, la durata del loro controllo sul farmaco. Il mercato mondiale dei farmaci rappresenta circa 700 miliardi di euro; e una dozzina di imprese giganti, tra cui le cosiddette Big Pharma (Bayer, GlaxoSmithKline (GSK), Merck, Novartis, Pfizer, Roche, Sanofi-Aventis), controllano la metà di questo mercato. I loro profitti sono superiori a quelli dei potenti gruppi del complesso militar-industriale. Per ogni euro investito nella fabbricazione di un farmaco di marca, i monopoli ne ricavano mille sul mercato. E tre di queste ditte, GSK, Novartis y Sanofi, si preparano a guadagnare miliardi di euro in più nei prossimio mesi grazie alle massicce vendite del vaccino contro il virus A(H1N1) della nuova influenza. Queste gigantesche masse di denaro conferiscono alle Big Pharma una potenza finanziaria assolutamente colossale. Che usano in particolare per mandare in rovina, mediante ripetuti processi milionari nei tribunali, i modesti fabbricanti di generici. Le loro innumerevoli lobbies inoltre pressano permanentemente l’Ufficio Europeo Brevetti (OEP), la cui sede si trova a Monaco, per ritardare la concessione ai generici delle autorizzazioni di accesso al mercato. Allo stesso modo lanciano campagne ingannevoli su questi farmaci bioequivalenti e spaventano i pazienti. Il risultato è che, secondo il recente Rapporto pubblicato dalla Commissione Europea, i cittadini hanno dovuto aspettare, in media, sette mesi più del normale per accedere ai generici, cosa che si è tradotta negli ultimi cinque anni in una maggior spesa superflua di circa 3 miliardi di euro per i consumatori e in un 20% di aumento per i Sistemi Sanitari Pubblici. Inoltre Barack Obama, desideroso di riformare il sistema sanitario degli Stati Uniti che lascia senza copertura medica 47 milioni di cittadini, sta affrontando l’ira del complesso farmaceutico-industriale. Qui le somme in gioco sono gigantesche (la spesa per la sanità rappresenta l’equivalente del 18% del PIL) e le controlla una vigorosa lobby di interessi privati che riunisce, oltre alle Big Pharma, alle grandi compagnie assicurative e tutto il settore delle cliniche ed ospedali privati. Nessuno di questi attori vuole perdere i suoi ricchi privilegi. Per questo, appoggiandosi ai grandi media più conservatori e al Partito Repubblicano, stanno spendendo decine di milioni di dollari in campagne di disinformazione e di calunnie contro la necessaria riforma del sistema sanitario. È una battaglia cruciale. E sarebbe drammatico se le mafie farmaceutiche la vincessero. Perché a quel punto raddoppierebbero gli sforzi per attaccare, in Europa e nel resto del mondo, la diffusione dei farmaci generici e la speranza di sistemi sanitari meno costosi e più solidali. Fonte: giornalismo partecipativo.

venerdì 25 settembre 2009

mercoledì 23 settembre 2009

A volte accade che...

...il falso in bilancio non sia più reato. A volte accade che per recuperare un po' di denaro, si commetta un illecito per rispondere ad un altro illecito anonimo. A volte accade che si parli per un anno e più di politiche economiche chiare, pulite e volte a penalizzare chi le sporca, per poi fare una pernacchia a tutto e tutti ed aggirare. A volte accade che gli scudi non siano più utilizzati per difendersi, ma per nascondere. Siamo ad un passo dall'ennesima porcheria che sputa in faccia a chi ha sempre cercato di rimanere nel giusto. Kili di merda.

sabato 19 settembre 2009

Videocracy, un commento di Teo Lorini

L'Italia della Videocrazia è una Cuccagna ininterrotta che nutre il Mondo rovesciato e ne nega il carattere paradossale e dis-topico, quello cioè di una utopia all'incontrario, fondata sul sovvertimento dei valori condivisi. È il mondo dove l'appellativo di eroe non va ai servitori dello stato ma agli emissari della mafia; dove la scelta dei candidati alla cosa pubblica si basa sui criteri estetici e sulla disponibilità sessuale, non sulle competenze; dove ci si difende dai processi e non nei processi; dove il magistrato è un criminale, un pazzo che non deve permettersi di prendere la parola o di partecipare alla vita civile del Paese e sul giornale (sul Giornale?) scrivono invece i condannati per i reati più vari; dove la guerra è una missione di pace; dove l'oppresso che fugge dalla morte e dalla persecuzione è un clandestino, un ladro, uno stupratore; dove l'abbandono di miserabili, donne incinta, bambini, lasciati morire di fame o di febbre in mare diventa una "procedura di respingimento"; dove il naturale senso di fratellanza umana è disprezzato e schernito come "buonismo" e la cattiveria è invece celebrata come un valore finalmente riconquistato; dove si tagliano i fondi alla polizia per elargirli invece invece alla giustizia privata delle ronde; dove il giornalista non deve fare domande basandosi sui documenti ma invece può mandare avvertimenti, compiere intimidazioni e character assassinations sull'unica base di dossier dalla provenienza oscura, senza nulla provare ma solo in virtù di una "potenza di fuoco" senza pari; dove viene bandito dalla televisione questo film che dovrebbe invece essere mostrato in tutte le scuole (esattamente come Il corpo delle donne), per offrire una sia pur minima risorsa argomentativa alle generazioni di adolescenti cui ogni pomeriggio la televisione propone come modello unico l'esposizione di corpi mercificati, svuotati, sfruttati che affollano "Uomini e donne", "Grande fratello" e tutti gli infiniti cloni di questa televisione. E invece, nel Mondo alla rovescia in cui si è trasformata l'Italia, ad avere bisogno di contraddittorio non è quello spaventoso tritacarne in cui si riducono in brandelli l'intelligenza, la dignità, il rispetto di sé e dell'altro, bensì un piccolo film indipendente che si permette di proporre un altro punto di vista, di operare una connessione fra le cose che sono sotto gli occhi di tutti e che pure devono ad ogni costo essere considerate distanti, separate, irrilevanti.

giovedì 17 settembre 2009

Influenzati dall'influenza

Dal 1° gennaio all’ 11 settembre 2009: 732 morti sul lavoro 183.315 invalidi 732.624 infortuni, in Italia. Morti per influenza H1n1 in Italia: zero. 10 miliardi di dollari il giro d'affari del vaccino contro la H1n1. Mi sento protetto.

lunedì 14 settembre 2009

Capitalism, una storia d'amore

Scritto, diretto, prodotto e sceneggiato da Michael Moore. In concorso a Venezia e presto al cinema!

venerdì 11 settembre 2009

Beck, il televangelismo e la minaccia mediatica

Negli USA lunedì scorso si è dimesso tra lo stupore generale, il consigliere della Casa Bianca per l'ambiente Van Jones, ferreo sostenitore delle politiche ambientali sulla riduzione delle emissioni carboniche ed il promotore di una serie di proposte ambientali che gli USA presenteranno alle prossime conferenze dell'ONU sul cambiamento climatico. A farne lo scalpo sono stati essenzialmente i rumors che tale Glenn Beck, nome che credo sentirete nominare spesso nel corso dell'amministrazione Obama, ha diffuso per il web ed attraverso i network televisivi. Glenn Beck è infatti l'anchorman di Fox news, network repubblicano per eccellenza arci-noto per le proprie campagne pro Bush e anticomuniste anche nel recente passato. Beck è quello che viene definito un televangelista in grado di influenzare con le proprie doti di opinionista, una grande fetta di pubblico tendenzialmente conservatore mettendolo sempre in guardia dai riformisti e dai radicali, utilizzando nei suoi discorsi toni apocalittici tipicamente americani. Fu lui per esempio ad ipotizzare la fede islamica di Obama e a rincarare la dose sugli scandali dei seggi di Chicago, in un operazione continua di vetting (pratica che consiste nello screditare l'avversario scovando piccoli scheletri nell'armadio di personaggi pubblici, vedi risse in prima elementare, cannette fumate ad una festa ecc.) contro il presidente in carica. La teoria principale del repubblicano, supportato chiaramente dalla minoranza in parlamento, è quella che Obama stia segretamente infiltrando nel governo una colonna di comunisti con l'intento di portare avanti un progetto radicale, marxista, rivoluzionario. Tutte parole chiave che gli americani non vogliono sentire. Nel caso di Van Jones, questi ha dovuto dimettersi perchè accusato di posizioni radicali nella lotta per il Black Power (Jones è afroamericano) negli anni '70 e soprattutto per aver osato dubitare delle buone intenzioni del presidente Bush nella gestione del post e pre 11 settembre. Fatti dei quali si era "macchiato" appunto, ritenuti ben più importanti della sua campagna di sensibilizzazione ambientale o del suo seminale libro Green Collar Economy, o delle sue proposte concrete contro l'inquinamento. Obama perde così per colpa di un Network televisivo e di un evangelista diabolico, una pedina fondamentale del proprio governo e nell'affermazione mondiale delle politiche ambientali. il che, con buona pace di Beck, dovrebbe essere un obbiettivo indipendente dalla frangia politica e dovrebbe riguardare l'umanità intera, lui compreso. Ancora una volta la politica si dimostra impotente davanti alle logiche mediatiche.

martedì 8 settembre 2009

Pensiero di oggi

Una volta lo scrissi, lo pronunciai, lo lessi, lo ricordai. Non ricordo. E tanto ora non è più perché è già confuso, sottratto, cancellato. Memoria italiana.

venerdì 4 settembre 2009

Videocracy

Sta per uscire al festival del cinema di Venezia: Videocracy, film/documentario prodotto da Lars Von Trier e girato dal regista italo/svedese Erik Gandini. Il tema è quello attualissimo dell'influenza che la tv ha sul popolo italiano e come questo sia stato strumentale alla creazione del berlusconismo e soprattutto alla creazione di un sistema valoriale estremamente distorto. Rai e mediaset hanno già oscurato il trailer. D'altra parte è l'atteggiamento di chi non ha niente da nascondere.

mercoledì 2 settembre 2009

La strategia della menzogna, di Ezio Mauro direttore de La Repubblica

Vale la pena riportare questo editoriale di oggi di Ezio Mauro. Uno dei pochi a fare informazione ed ad opporsi alle menzogne protratte dal nostro presidente del consiglio.

POICHE' la sua struttura privata di disinformazione è momentaneamente impegnata ad uccidere mediaticamente il direttore di "Avvenire", colpevole di avergli rivolto qualche critica in pubblico (lanciando così un doppio avvertimento alla Chiesa perché si allinei e ai direttori dei giornali perché righino dritto, tenendosi alla larga da certe questioni e dai guai che possono derivarne) il Presidente del Consiglio si è occupato personalmente ieri di "Repubblica": e lo ha fatto durante il vertice europeo di Danzica per ricordare l'inizio della Seconda guerra mondiale, dimostrando che l'ossessione per il nostro giornale e le sue inchieste lo insegue dovunque vada, anche all'estero, e lo sovrasta persino durante gli impegni internazionali di governo, rivelando un'ansia che sta diventando angoscia. L'opinione pubblica europea (ben più di quella italiana, che vive immersa nella realtà artefatta di una televisione al guinzaglio, dove si nascondono le notizie) conosce l'ultima mossa del Cavaliere, cioè la decisione di portare in tribunale le dieci domande che "Repubblica" gli rivolge da mesi. Presentata come attacco, e attacco finale, questa mossa è in realtà un tentativo disperato di difesa. Non potendo rispondere a queste domande, se non con menzogne patenti, il Capo del governo chiede ai giudici di cancellarle, fermando il lavoro d'inchiesta che le ha prodotte. È il primo caso al mondo di un leader che ha paura delle domande, al punto da denunciarle in tribunale. Poiché l'eco internazionale di questo attacco alla funzione della stampa in democrazia lo ha frastornato, aggiungendo ad una battaglia di verità contro le menzogne del potere una battaglia di libertà, per il diritto dei giornali ad indagare e il diritto dei cittadini a conoscere, ieri il Premier ha provato a cambiare gioco. Lui sarebbe pronto a rispondere anche subito se le domande non fossero "insolenti, offensive e diffamanti" e fossero poste in altro modo e soprattutto da un altro giornale. Perché "Repubblica" è "un super partito politico di un editore svizzero e con un direttore dichiaratamente evasore fiscale". OAS_RICH('Middle'); Anche se bisognerebbe avere rispetto per la disperazione del Primo Ministro, l'insolenza, la falsità e la faccia tosta di quest'uomo meritano una risposta. Partiamo da Carlo De Benedetti, l'editore di "Repubblica": ha la cittadinanza svizzera, chiesta come ha spiegato per riconoscenza ad un Paese che ha ospitato lui e la sua famiglia durante le leggi razziali, ma non ha mai dismesso la cittadinanza italiana, cioè ha entrambi i passaporti, come gli consentono la legge e le convenzioni tra gli Stati. Soprattutto ha sempre mantenuto la residenza fiscale in Italia, dove paga le tasse. A questo punto e in questo quadro, cosa vuol dire "editore svizzero"? È un'allusione oscura? C'è qualcosa che non va? Si è meno editori se oltre a quello italiano si ha anche un passaporto svizzero? O è addirittura un insulto? Il Capo del governo può spiegare meglio, agli italiani, agli elvetici e già che ci siamo anche ai cittadini di Danzica che lo hanno ascoltato ieri? E veniamo a me. Ho già spiegato pubblicamente, e i giornali lo hanno riportato, che non ho evaso in alcun modo le tasse nell'acquisto della mia casa che i giornali della destra tengono nel mirino: non solo non c'è stata evasione fiscale, ma ho pagato più di quanto la legge mi avrebbe permesso di pagare. Ho versato infatti all'erario tasse in più su 524 milioni di vecchie lire, e questo perché non mi sono avvalso di una norma (l'articolo 52 del D. P. R. 26 aprile 1986 numero 131, sull'imposta di registro) che, ai termini di legge, mi consentiva nel 2000 di realizzare un forte risparmio fiscale. Capisco che il Premier non conosca le leggi, salvo quelle deformate a sua difesa o a suo privato e personale beneficio. Ma dovrebbe stare più attento nel pretendere che tutti siano come lui: un Capo del governo che ha praticato pubblicamente l'elogio dell'evasione fiscale, e poi si è premurato di darne plasticamente l'esempio più autorevole, con i quasi mille miliardi di lire in fondi neri transitati sul "Group B very discreet della Fininvest", sottratti naturalmente al fisco con danno per chi paga le tasse regolarmente, con i 21 miliardi a Bettino Craxi per l'approvazione della legge Mammì, con i 91 miliardi trasformati in Cct e destinati a non si sa chi, con le risorse utilizzate poi da Cesare Previti per corrompere i giudici di Roma e conquistare fraudolentemente il controllo della Mondadori. Si potrebbe andare avanti, ma da questi primi esempi il quadro emerge chiaro. Il Presidente del Consiglio ha detto dunque ancora una volta il falso, e come al solito ha infilato altre bugie annunciando che chi lo attacca perde copie (si rassicuri, "Repubblica" guadagna lettori) e ricostruendo a suo comodo l'estate delle minorenni e delle escort, negando infine di essere malato, come ha rivelato a maggio la moglie. Siamo felici per lui se si sente in forze ("Superman mi fa ridere"). Ma vorremmo chiedergli in conclusione, almeno per oggi: se è così forte, così sicuro, così robusto politicamente, perché non provare a dire almeno per una volta la verità agli italiani, da uno qualunque dei sei canali televisivi che controlla, se possibile con qualche vera domanda e qualche vero giornalista davanti? Perché far colpire con allusioni sessuali a nove colonne privati cittadini inermi come il direttore di "Avvenire", soltanto perché lo ha criticato? Perché lasciare il dubbio che siano pezzi oscuri di apparati di sicurezza che hanno fabbricato quella velina spacciata falsamente dai suoi giornali per documento paragiudiziario? Se Dino Boffo salverà la pelle, dopo questo killeraggio, ciò accadrà perché la Chiesa si è sentita offesa dall'attacco contro di lui, e si è mossa da potenza a potenza. Ma la prossima preda, la prossima vittima (un magistrato che indaga, una testimone che parla, un giornalista che scrive, e fa domande) non avendo uno Stato straniero alle spalle, da chi sarà difeso? L'uomo politico passato alla storia come il più feroce nemico della stampa, Richard Nixon, non ha usato per difendersi un decimo dei mezzi che Berlusconi impiega contro i giornali considerati "nemici". Se vogliamo cercare un paragone, dobbiamo piuttosto ricorrere a Vladimir Putin, di cui non a caso il Premier è il più grande amico.