giovedì 2 luglio 2009

In Honduras si continua a lottare

In Honduras si continua a lottare dopo il colpo di stato che ha destituito il presidente democraticamente eletto Manuel Zelaya. Con sinistre analogie a quanto sta succendendo in Iran, il dittatore Roberto Micheletti (di origine bergamasca e quindi sostenuto da noi campanilisti...vedasi a questo proposito un video tratto da studio aperto che non riporto per decenza d'informazione ma che trovate su youtube), ha preso il potere in modo illegittimo insorgendo prima di un referendum che avrebbe definito una costituente per il governo di Zelaya e che era voluto secondo i sondaggi, dall'85% della popolazione. Anche su questa situazione delicata ci arrivano poche immagini, ne riporto quindi una significativa della resistenza che ho trovato su Giornalismo Partecipativo. Fight to survive.
Per dovere di cronaca ricordo che la costituente convocata da Zelaya aveva l'intenzione di modificare la costituzione (che in Honduras è poco più di un documento che riassume usi e costumi dei dittatori che l'hanno concepita nel secolo scorso, quindi niente a che vedere con la nostra o quella di un paese sviluppato) per togliere alcuni privilegi destinati agli oligarchi che governano il paese. Da decenni l'Honduras è infatti in mano ai burattini che la governano a nome della United Fruits, ovvero l'industria che sfrutta economicamente il paese per la produzione di frutti da coltivazione e soprattutto banane. La democrazia è quindi mal vista da un regime dittatoriale che è ormai endemico, insito nel paese. Toccare la costituzione per rivedere alcuni dei privilegi guadagnati da quel 2% della popolazione che controlla il 75% dei latifondi è quindi visto come un male ed un attacco al regime latifondista. 
Ma c'è anche chi sostiene che il golpe sia giustificato dall'attacco contro la costituzione...il problema è che qui non si parla di una costituzione inviolabile come quella degli USA (che infatti hanno ripudiato il golpe), bensi di una specie di carta dei diritti di pochi che andrebbe rivista interamente.

6 commenti:

  1. non e' proprio quello che sta succedendo in iran...
    fermo restando che come già detto, è sempre difficile capire quello che succede in casa degli altri, ed è sempre difficile sapere se e come intervenire volevo segnalare la notizia così come viene riportata dai maggiori quotidiani internzionali...
    Manuel Zelaya, il presidente in scadenza a fine anno e che per la costituzione del paese non poteva ripresentarsi, aveva architettato un referendum, che per legge poteva essere autorizzato solo dal Congresso. Poiché il congresso, dominato dal suo stesso partito si era rifiutato di dare il suo ok, Zelaya si è fatto mandare le schede elettorali dall’amico venezuelano Chavez per fare elezioni in proprio. La Corte Suprema ha subito dichiarato la mossa incostituzionale e ha ordinato all'esercito di allontanare quello che a 'sto punto è diventato l'ex presidente.
    mi sembra che il buon presidente abbia provato a farsi una di quelle leggi che noi definiamo ad personam... o sbaglio?
    l'escito ha consegnato il potere, come vuole la costituzione, in mano al presidente del congresso, dello stesso partite del deposto presidente, il micheletti, il quale ha annunciato proprio oggi, le prossime elezioni presidenziali.
    quindi, sperando che le elezioni non siano una pagliacciata come spesso succede nei paesi sudamericani, e condannando l' intervento militare (che è comunque sempre sbagliato), speriamo che la situazione si assesti il prima possibile....
    L' unica cosa che non capisco è che in italia il presidente del consiglio fa una legge che va nel suo interesse apriti o cielo.... attentato alla democrazia... e via di sto passo... se lo fa un amichetto di merende di Chavez e Castro è solo un poasso necessario per arrivare...
    In ultimo Zelaya è diventato presidente con meno del 3% dei voti in più del rivale, quindi andiamo cauti dicendo che incarna quello che vuole tutto il suo popolo

    RispondiElimina
  2. Non è come l'Iran ovviamente, accomunavo solo i due tipi di resistenza.
    I giornali internazionali stanno comunque riportando notizie tendenziose e pro Micheletti. Zalaya era un dittatore pure lui ma giustificare il golpe è assolutamente sbagliato. Vi invito ad informarvi da fonti alternative, più vicine al popolo Honduregno. Qui a fianco potete cliccare su "giornalismo partecipativo" e leggere gli articoli del giornalista Gennaro Carotenuto che è specializzato in dinamiche politiche sudamericane. Ci si può schierare dall'una o dall'altra parte ovviamente. Personalmente dopo le dichiarazioni di Micheletti ho qualche dubbio sulla sua capacità politica (anche su quella dialettica per altro). Inoltre è chiaro che l'occidente sta con Micheletti perchè nemico giurato di Chavez, verso cui Zalaya invece aveva dichiarato una decisa apertura. Per gli USA e quindi per l'occidente sempre schierato con gli stati uniti, questo vorrebbe dire un allargarsi dell'influenza venezuelana in altri stati dell'america latina (il Venezuela è uno dei più grandi esportatori al mondo di petrolio) e questo gli americani non possono permetterlo per ovvie ragioni economiche.
    Riporto a questo proposito un estratto di articolo di Repubblica di oggi:

    Tv e giornali si autocensurano e diffondono il verbo dei nuovi padroni che sono anche i loro proprietari ma le onde, molto più libere, delle radio diffondono le notizie che gli altri nascondono. Le proteste più violente sono state a San Pedro de Sula, seconda città e cuore mercantile del paese, e all' interno, nelle province lontane da Tegucigalpa tra i contadini che, insieme ad operai ed impiegati pubblici, hanno formato il blocco sociale che ha sostenuto Zelaya e la sua svolta filo-chavista. Che il fronte golpista lentamente vada incrinandosi lo dimostra anche l' ultimo appello tv di Micheletti quando il presidente de facto ha riconosciuto il lavoro svolto tra i poveri dalle missioni dei medici cubani volute dall' ex presidente ed ha promesso che non le caccerà dal paese. Zelaya per ora ha rinviato il ritorno in Honduras che aveva fissato per oggi lasciando ai diplomatici dell' Osa, l' Organizzazione degli Stati americani, altro tempo per trattare una resa onorevole di Micheletti e compagni. Come andrà a finire questa prima crisi nel cortile di casa del presidente Obama è ancora presto per capirlo. Washington ha due problemi. Da una parte lavorare per restituire una "legittimità democratica" all' Honduras chiarendo una volta per tutte ai generali formati nelle scuole militari d' America che non è più tempo di "bananas", dall' altra evitare che la crisi rafforzi Chavez e l' influenza "bolivariana" sull' America Latina.

    RispondiElimina
  3. Ah Ale, sui confronti tra paesi sai già come la penso, del tutto de-contestualizzati e privi di valore assoluto.

    RispondiElimina
  4. luca condivido pienamente le tue posizioni, a tal proposito vorrei riportare un'intervista tragicomica tratta da la repubblica.it fatta dal giornalista Omero Ciai in occasione di un incontro l'italianissimo neopresidente Micheletti.
    Purtroppo nella lettura mi sono tristemente divertita..

    Dottor Micheletti ma chi glielo ha fatto fare di cacciarsi in questo guaio? Non si rende conto di essere perlomeno fuori moda? La stagione dei gorilla in America Latina è passata... Lui sbuffa, sposta nervosamente i fogli che ha appoggiato su una scrivania che gli sta stretta, scalcia mostrando raffinati mocassini che escono, come le sue gambe, da sotto il tavolo, e sbuffa di nuovo. "Qui non c'è stato nessun golpe. È stato il Tribunale ad ordinare all'esercito di prendere quel mascalzone di Zelaya e portarlo fuori dal paese. Volete vedere le accuse? Ci sono diciotto capi d'imputazione contro il vostro eroe democratico. Quali? E io che ne so, chiedetelo ai giudici".

    Scusi dottore, ma il presidente Zelaya non poteva essere accusato e giudicato qui, in Honduras non c'è neppure l'immunità per il Capo di Stato...
    "Infatti, gli abbiamo fatto un favore. Invece di metterlo in galera lo abbiamo portato in esilio".

    Quando il presidente golpista dell'Honduras riceve un gruppo di giornalisti stranieri sulla capitale sta scendendo il tramonto e la luce infiamma le pietre rosa della Casa presidenziale, un edificio neomediovale, dalle linee dolci e ondulate, costruito all'inizio del Novecento dall'architetto italiano Augusto Bressani. Dentro è un turbine di riunioni. Al primo piano ci sono gli uffici che s'affacciano su un grande giardino rettangolare. Porte che sbattono, via vai di commessi, politici e ministri appena nominati. In tutto, all'interno, ci saranno al massimo venti soldati.

    Entrare non è stato difficile, dopo la mano dura oggi è il giorno della trasparenza nel momento di massimo isolamento del governo golpista. "Insomma aiutatemi", dice Roberto Micheletti, "aiutatemi voi giornalisti a spiegare al mondo che l'abbiamo fatto per il bene del paese", e continua a spostare e martoriare la povera scrivania. È un omone, Micheletti, con una grande pancia che troneggia quando apre la giacca, gli occhi piccoli e un volto rubicondo. Ruvido e instintivo quando risponde, s'infuria facilmente.

    Ha visto dottore, anche il ministro Frattini dall'Italia ha richiamato l'ambasciatore... "Quando? No, io l'ho salutato l'ambasciatore Magno qualche giorno fa perché aveva terminato il suo mandato. Di Frattini non so niente". Ma anche Francia e Spagna hanno ritirato i loro rappresentanti. "Senta, sa cosa le dico? Facciano quello che gli pare. Io ho fede, prima o poi mi riconosceranno".
    Penultimo di nove fratelli, Micheletti è figlio di Umberto, un immigrato italiano, di Bergamo, arrivato qui per far fortuna tra le due Guerre mondiali. Roberto è nato nel '43, 13 agosto, come Fidel Castro, ma quando s'è buttato in politica ha anche ritoccato la data di nascita per sembrare più giovane, regalandosi cinque anni. Finora era conosciuto per la sua florida azienda di trasporti, ora rischia di passare alla Storia come il presidente fantoccio di un governo improbabile. Mentre parla, prima s'entusiasma perché un collaboratore lo chiama al telefono assicurandogli che Israele e Taiwan l'hanno riconosciuto. "Visto? Non siamo più soli". Ma è sicuro? "No, ma se me l'hanno detto, sarà vero". Poi si perde quando arriva la notizia che il Parlamento ha esteso il coprifuoco trasformandolo in Stato d'assedio. Avete proclamato lo Stato d'assedio? "No". "Ma come no, lo ha appena detto la radio", incalza una collega americana, "dice che l'esercito può perquisire la case senza mandato tra le dieci di sera e le cinque del mattino". "Beh guardi - sbotta Micheletti - se lei ha fatto qualcosa di male deve pure aspettarsi che vengano a prenderla a casa".
    Il diritto non dev'essere il suo forte, l'oratoria neppure.

    RispondiElimina
  5. Nel suo bel vestito scuro di taglio italianissimo, Micheletti sta sempre più scomodo mentre anche nella Casa presidenziale si susseguono i rumors. Qualcuno dice che la Oea, l'Organizzazione degli Stati americani, invierà una delegazione per trattare con i golpisti. "Bene - esulta - li accoglieremo a braccia aperte". Ma scusi dottore, l'hanno avvisata? "No, me lo avete detto voi che viene una delegazione, io non ne sapevo niente". Qualcun altro annota che dirigenti dei partiti maggiori sono chiusi nell'ambasciata americana per trovare un compromesso che salvi tutti. Una amnistia per i golpisti? "Quale amnistia?", sbraita Micheletti, "Io non ho commesso reati, leggetevi la Costituzione, eccola qua". A momenti sorride, anche. Tre ragazze dell'ufficio stampa cercano di mantenere un po' di ordine tra chi entra ed esce dalla stanza. Micheletti non ci fa neppure caso e si mette a parlare di autarchia. "Possiamo farcela anche da soli", dice. Senza i prestiti della Banca Mondiale, il petrolio di Chavez, il commercio con i paesi vicini, i beni di consumo che arrivano dagli Stati Uniti con il trattato di libero scambio? A quale classe del paese pensa dottor Micheletti? Così rischiate di tornare indietro di decenni. "Ecco Chavez, buono quello. Ma non capite che io sono il baluardo contro la penetrazione di Chavez in questo paese, gli americani dovrebbero ringraziarmi, altroché".

    S'avvicina l'ora del coprifuoco e il centro di Tegucigalpa si svuota molto in fretta. La gente ha paura, ha l'evidente impressione che Micheletti, l'esercito, i deputati abbiano combinato un pasticcio. Che l'abbiano fatta grossa per sbarazzarsi del "traditore", di Zelaya, uno di loro, un membro dell'oligarchia che da sempre domina gli affari dell'Honduras, passato al nemico - dicono - per ambizione di potere. "Voleva farsi rieleggere Zelaya, per questo s'è alleato con Chavez e con Daniel Ortega, ed ha concesso ai sindacati un aumento insostenibile dei salari". Ma si rende conto che lei è diventato presidente grazie all'intervento dei militari e ad una lettera di dimissioni di Zelaya che è evidentemente falsa? "Falsa? Non lo so, non l'ho mica scritta io. Come presidente del Congresso toccava a me entrare in questa Casa presidenziale. L'ho fatto per il paese".
    La gente non si fida di Micheletti. Le sue ambizioni presidenziali erano note. Ha corso anche per le primarie ma è stato battuto e accusato di corrompere i giudici della Corte suprema per fermare un altro candidato più popolare di lui. "Sono a interim", giura. "Faremo le elezioni e io me ne andrò".
    Come farà ad andare avanti se nessun paese vuole incontrarlo, né ascoltare le sue ragioni, non lo sa. S'affida alla fede. Non si sente neppure isolato, Micheletti. "Ho il sostegno e l'affetto dell'80 per cento degli honduregni", spara ad un certo punto. Ma non s'è accorto di aver messo il suo paese in un vicolo cieco? "Ma quando mai, qui non c'è stato nessun colpo di Stato".

    Mentre lasciamo il palazzo si sparge la notizia che è stata tolta l'energia elettrica ad una radio che ha trasmesso una intervista a Zelaya, il presidente estromesso. La censura morde sui mezzi di comunicazione che non s'allineano al nuovo potere. Tutti esagerano, da una parte e dall'altra e verificare le informazioni diventa sempre più difficile. L'ultimatum delle 72 ore dell'Oea scade domani. Ma Micheletti ripete che non c'è nulla da trattare. "Che vengano ad incontrarci - conclude - gli spiegheremo cosa è successo e gli faremo vedere i documenti che accusano Zelaya. Abuso di potere, tradimento delle patria... "Ce n'è, ce n'è. Sono diciotto capi d'imputazione, mi dicono. E smettetela di chiamarmi dottore: io sono il Presidente".

    RispondiElimina
  6. Grande Elena, l'avevo letta anch'io ed è davvero tragicomica...
    E' chiaro che siamo di fronte ad un gradasso pieno di se e basta.

    grazie per averla riportata!

    RispondiElimina